
Lastra commemorativa di Anita Berber 10707 Berlin Wilmersdorf Zähringerstraße 13, 17 gennaio 2007, Autore: Wikinaut / CC BY-SA 2.5
di Giulia Bianchi
A Berlino vi è una numerosa presenza di donne che si dedicano all’arte. La maggior parte di esse, però, è riuscita ad imporsi e a “trovarsi” come artista, in quanto si è trasferita a Berlino e ha fatto incetta della libertà e del clima culturale della città.
Berlino, infatti, non è mai stata conservatrice: se si “spulcia” nella sua storia, si nota che l’indipendenza economica ed intellettuale delle donne era già iniziata a partire dagli anni venti. Quelle che si recavano nella capitale – e qui non mi riferisco solo alle tedesche, ma anche alle straniere – lo facevano ad un solo scopo: raggiungere la propria emancipazione.
Esse hanno contribuito all’emancipazione culturale ed economica delle donne, che fu interrotta soltanto con l’avvento del nazismo, ma che riprese, con vigore, immediatamente dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Molte donne divennero celebri per i loro balletti con nudi artistici e la novità fu che non si spogliarono solo per il piacere degli uomini, ma anche per il proprio.
Anita Berber fu la più famosa di esse. Diede più volte scandalo in città, ma il suo apporto fu decisivo nell’abbattere tutti quei tabù che avevano relegato le donne a mamme felici e padrone del focolare; angeli domestici dall’anima pura, incapaci di commettere qualsiasi sorta di cattiveria o peccato. La descrizione migliore della ballerina si può riassumere nell’episodio, a parer mio comico, della prima volta che l’attore Hubert von Meyerinck, vide la Berber:
La Berber mormorava in questa pomposa sala da pranzo, dove un illustre circolo cenava. Indossava una costosa pelliccia di visone e scarpe d’oro con tacchi alti, ma senza calze, cosa che allora era inconsueta. Si sedette con i suoi accompagnatori ad un tavolo. I suoi capelli luccicavano di un rosso infernale. “Maître”, chiamò, “per favore tre bottiglie di champagne Veuve Cliquot”. E allora accadde. Gingillò con il suo collo – e poi cadde la pelliccia. Un grido generale soffocato – lei sedeva lì completamente nuda. Gli ospiti guardavano come impietriti ai loro tavoli, soltanto la vecchia principessa Clothilde, una donna piena di umore, disse con un tono molto alto al suo consorte: “Mi sbaglio, Eberhard, è questa dama nuda oppure ho le allucinazioni?”. “Non ti sbagli, Clothilde, è nuda”, disse lui e fissò nel suo monocolo ridendo sotto i baffi…[1]
[1] Birgit Haustedt, Die wilden Jahre in Berlin – Eine Klatsch- und Kulturgeschichte der Frauen, edition ebersbach, Berlino, 2002, pag., pag. 27
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