di Emilio Esbardo
Mercoledì 20 maggio, nell’accogliente atmosfera del Café Einstein, a due passi dalla Porta di Brandeburgo, ho intervistato l’avvocatessa Paola Nardini, in occasione della prossima apertura della nuova configurazione del suo studio legale a Berlino, che verrà costituito insieme agli avvocati Marco Monteverde, Stefan Leiendecker e con il supporto di Jürgen Bubendey, ex Console Generale tedesco di Milano.
Sarà uno studio di massimo spessore, visti i curricula di eccellenza dei fondatori, che si pone l’obiettivo di continuare a sostenere con sempre maggiore intensità i rapporti tra l’Italia e la Germania, creando le infrastrutture legali per gli sviluppi bilaterali.
L’avvocatessa Nardini è, tra l’altro, Console onorario della Germania nel Veneto e Friuli Venezia Giulia, rappresentante della Camera di Commercio Italo-Germanica per le Province di Venezia, Treviso, Belluno e Pordenone, socia e membro del Consiglio Direttivo 2011-2016 della Camera di Commercio Italiana per la Germania, socia della Camera di Commercio Italiana di Monaco di Baviera. Si è laureata presso l’Università di Padova nel 1984, con tesi in diritto civile in materia di responsabilità extracontrattuale. Il suo settore di specializzazione è: diritto commerciale internazionale, real estate e sin dall’inizio della sua attività in Italia assiste prevalentemente clientela di Lingua tedesca.
Signora Nardini, a livello giuridico, quanto è importante l’Unione europea, non solo per le imprese, ma anche per la gente comune? Può fare qualche esempio pratico?
Io parto da una premessa: sono un’europeista convinta. Anche se vi sono continui dibattiti sull’opportunità di mantenere questa Europa unita, il mio motto è: ci vuole, comunque, sempre più Europa, non meno. Esempio pratico: se noi guardiamo al mondo degli imprenditori, un tempo, quando un imprenditore, ad esempio italiano, si trasferiva in Europa era un emigrante. Ora siamo tutti cittadini della medesima realtà sociale, politica, economica e sempre di più, speriamo, anche normativa. Ecco perché l’imprenditore italiano che si trasferisce, per esempio, con una parte delle proprie unità produttive in Germania, non è un emigrante. Non delocalizza, che è un termine, secondo me, assolutamente obsoleto ed inadatto ma, semplicemente, realizza un’unità produttiva in una diversa area della stessa zona sociale e politica.
Quanto sono importanti gli accordi bilaterali italo-tedeschi all’interno dell’Unione europea?
Io provengo originariamente da una regione quale il Veneto, da una città come Venezia, che nel corso non dei secoli, bensì dei millenni passati, hanno sempre avuto nell’imprenditore tedesco il proprio miglior partner commerciale. Ecco perché la tradizione della partnership commerciale tra il Veneto, Venezia e la Germania, non è una novità, è inossidabile da sempre. Oramai i rapporti bilaterali fanno parte della realtà economica delle imprese, non solo venete, ma di tutta Italia, sono ontologicamente collegati all’imprenditoria italiana.
Riguardo all’apertura dello studio legale, qual è l’importanza di questa nuova iniziativa?
Questa nuova iniziativa, è, in realtà, la conclusione di una collaborazione, che perdura già da moltissimo tempo. Io assisto clientela tedesca in Italia da oltre trent’anni e da quasi una decina d’anni la clientela italiana in Germania, ma esclusivamente per l’attività stragiudiziale. Non ho mai voluto ottenere un permesso da avvocatessa qui in Germania, perché ritengo che nell’ambito della procedura civile, un avvocato formato all’interno di un sistema giuridico, comunque sia abbia una preparazione ideale. A maggior ragione, avendo iniziato una collaborazione, con Monteverde e Leiendecker, che sono avvocati tedeschi su Berlino, tale prerogativa non è assolutamente necessaria. Le nostre attività sono del tutto complementari, in quanto i colleghi svolgono tutta l’attività giudiziaria forense. Monteverde, Leiendecker, Bubendey ed io abbiamo deciso di creare questa nuova struttura, per poter rappresentare al meglio, in senso bilaterale, gli interessi di entrambi i mondi imprenditoriali: il mondo imprenditoriale tedesco, naturalmente, focalizzato su Berlino e il Brandeburgo, che guarda l’Italia e viceversa, con le nostre differenti e complementari specializzazioni.
Volete giocare un ruolo importante nei rapporti bilaterali italiano-tedeschi?
Non credo di peccare di presunzione, dicendole che questo ruolo, di fatto, lo giochiamo già. Nessuno di noi è all’inizio di carriera in questo settore. Sinceramente, vorrei esserlo, perché vorrebbe dire che sarei molto più giovane.
Visto la sua ampia esperienza in Germania, quali sono i primi passi necessari che lei consiglierebbe, sia ai privati che alle imprese, che volessero mettere piede sul territorio tedesco e in particolare qui a Berlino?
Fondamentale è sapersi muovere, perché – io lo dico sempre ai clienti, che si rivolgono a me per questo genere d’incarico – la Germania è un Paese molto semplice, ma assolutamente non facile. Bisogna sapersi muovere con correttezza, con trasparenza, con precisione all’interno di determinate regole, la cui applicazione non è approssimativa. Ecco perché l’imprenditore italiano, deve conoscere queste regole ed essere assistito da chi queste regole le conosce e gli fa ottenere tutti i vantaggi enormi, che in queste aree, mi riferisco a Berlino e Brandeburgo, vengono riconosciute all’imprese a fronte di determinate iniziative. Questo è assolutamente fondamentale. Io, però, vorrei aggiungere un aspetto relativo al ruolo del professionista: la figura del professionista che dà all’imprenditore le risposte alle sue domande, è superata. Se l’imprenditore italiano fa bulloni, sa tutto sui bulloni, ma può non avere né lo stimolo, né la motivazione, né l’interesse a verificare se sia conveniente aprire una fabbrica di bulloni nel Brandeburgo. Ecco perché il professionista deve svolgere anche un’attività d’impulso nei confronti dei propri clienti e deve dire: caro signore i bulloni lei li può fabbricare nelle Marche, in Toscana, in Veneto, ma guardi che li può produrre anche nel Brandeburgo, con queste modalità. Il professionista deve stimolare, l’imprenditore, aprirgli nuovi orizzonti e non solo rispondere alle sue domande.
Posso chiederle, quando e perché nasce questo suo forte amore-legame con la Germania?
Venezia ha, per definizione, sempre avuto uno sguardo, una vocazione internazionale. A questo si aggiunge la fortuna mia personale di essere nata in una famiglia cosmopolita: mio padre ha studiato a Londra, nella prima metà del secolo scorso, quando era del tutto desueto ed ha anche lavorato molto nel Regno Unito. Una mia zia ha insegnato alla Sorbona. Io personalmente mi sono innamorata della Germania, da ragazzina, il perché non glielo so dire. Ma credo sia esattamente per lo stesso motivo, per cui ci s’innamora di una persona e non di un’altra. Ma se si domanda il perché, di fatto non c’è una risposta.
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