Il traffico di bambini in “Operation Zucker. Jagdgesellschaft” - Intervista all’attrice Nadja Uhl / Interview mit Nadja Uhl

L'attrice tedesca Nadja Uhl - Foto: Emilio Esbardo

di Emilio Esbardo

Mercoledì 20 gennaio 2016, alle ore 20.15, è andato in onda, sul canale televisivo tedesco ARD, la prima del telefilm “Operation Zucker. Jagdgesellschaft”, il seguito di “Operation Zucker”, trasmesso sempre da ARD nel 2013, che tratta il triste tema della schiavitù dei bambini e delle violenze sessuali.


Protagonista principale dei due episodi è l’attrice tedesca Nadja Uhl, che interpreta la parte dell’agente di polizia, Karin Wegemann, che durante le sue indagini s’imbatte in un vastissimo giro di schiavitù e prostituzione di bambini, nel quale sono coinvolti personaggi insospettabili della società civile e politica come senatori e magistrati. In entrambe le puntate questi “pezzi grossi” giostrano redini invisibili e fungono da ostacolo alle indagini di Wegemann.

Il film “Operation Zucker” aveva destato molto scalpore alla sua uscita, il 16 gennaio 2013, seguito da 6,27 milioni di spettatori: esso mostra come funziona la tratta attraverso una bambina romena di nome Fee (fata), sottratta con imbrogli alla famiglia per essere venduta all’asta nel mercato tedesco. Il fenomeno che, secondo gli sceneggiatori, è molto più grave di come viene descritto nel film, è venuto a galla grazie proprio a “Operation Zucker”. Nessuno si sarebbe mai immaginato una situazione così grave. La tratta avviene sotto gli occhi di tutti, giornalmente, ma invisibilmente, solo chi ne fa parte riesce a riconoscerla.

Anche nel secondo episodio “Operation Zucker. Jagdgesellschaft”, che io ho potuto già vedere in qualità di giornalista, grazie all’ottima regia e alle ottime interpretazioni di Nadja Uhl, Misel Maticevic e Andre Szymanski, si può percepire, intravedere questo traffico immondo di creature innocenti, che però non viene mai alla luce, perché le indagini sono rese vane da gente di potere che conoscono in anticipo le mosse degli agenti di polizia.

Quello che mi ha lasciato interdetto è il cinismo e la freddezza con cui i carnefici fanno del male gratuito a bambini indifesi.

“Operation Zucker. Jagdgesellschaft” inizia con il tentativo di contatto del giornalista investigativo Maik Fellner con Karin Wegmann, che dopo alcuni anni, disillusa, aveva abbandonato le indagini ed aveva accettato il lavoro come insegnante in una scuola di polizia. Maik Fellner ha conosciuto un testimone di 14 anni, che può condurre a tracce concrete sul mercato dei bambini a Potsdam.

Il secondo episodio è stato girato per sensibilizzare la politica ad affrontare e a tentare di risolvere questa piaga in Germania, come mi ha confidato l’attrice Nadja Uhl, che mi ha concesso gentilmente un’intervista.

Nadja Uhl, nata il 1972 a Stralsund, è divenuta un volto noto agli inizi degli anni ‘90, affermandosi sia in ambito teatrale che cinematografico. Ha all’attivo all’incirca una quarantina di produzioni. Tra i vari riconoscimenti vanno citati  l’Orso d’argento come miglior attrice in “Il silenzio dopo lo sparo” alla Berlinale nel 2000 e il Premio Bambi nel 2004 come migliore attrice protagonista in “Das Wunder von Lengede”. Personalmente il ruolo che mi è piaciuto di più di Nadja Uhl è stato quello in “Un’estate sul balcone” del 2005, dove viene dipinta la vita di due donne nel quartiere Prenzlauer Berg di Berlino.

Intervista a Nadja Uhl 

Perché ha accettato di recitare nel film Operation Zucker?

Prima dell’inizio delle riprese della prima parte del film ho reagito, come probabilmente tutti avrebbero reagito a questo argomento: non credevo che fosse possibile. Ho pensato che si trattasse di un fenomeno non molto diffuso nella nostra società ma mi sono dovuta ricredere. I fatti e le cifre parlano da sole. Bisogna riconoscere che la tratta di bambini e il sesso con minori è un business in crescita. La forte sensibilità sociale del tema, così come la produttrice Gabriela Sperl, mi hanno convinta ad accettare il ruolo. La risonanza mediatica al primo episodio è stata inaspettatamente molto ampia. Abbiamo ottenuto il sostegno della stampa, cosa non così scontata. Numerosi spettatori hanno guardato il film e si ha avuto una reazione positiva. La pellicola ha ottenuto quasi ogni immaginabile premio in Germania. Politicamente, però, non è cambiato molto. Per questo motivo ci si è decisi per un secondo episodio.

Con che stato d’animo ha recitato in un film che tratta il terribile tema della violenza sui bambini?

Al primo approccio con la sceneggiatura, dopo aver ispezionato il materiale fotografico ed essere venuta a conoscenza dei fatti, mi sono sentita distrutta. Con il tempo però sono riuscita a formare una necessaria distanza, per non sentirmi emozionalmente coinvolta, e riuscire a concentrarmi nella recitazione in “Operation Zucker”. Al principio sono stata travolta dall’argomento, ma all’inizio delle riprese, ho raccolto le mie forze, per non lasciarmi influenzare dai miei sentimenti. Mi sono distratta pensando alle mie numerose esperienze positive con le persone, dimodoché nella mia vita privata non rimanesse più spazio per questo argomento. È stata una semplice strategia di sopravvivenza. Almeno all’inizio. Nel secondo episodio è stato tutto molto più facile.

Vi sono state scene del film che ha trovato difficile da recitare? Ha mai avuto incubi?

Non ho avuto incubi. Non è che l’argomento mi sia indifferente, ma ho dovuto trovare la forza per mettere da parte le mie emozioni. Le foto, in realtà, non riuscirò mai a dimenticarle. E non ho visto sicuramente le immagini peggiori. Ho provato ad autosuggestionarmi. Come già detto, credo nel lato buono delle persone. Ogni uomo è buono. Io sono anche credente. Credo nella luce. Ciò mi dà sostegno. Non nego l’esistenza dell’oscurità, ma non sono obbligata ad accettarla e questo mi rafforza.

Crede che questo film possa contribuire a cambiare qualcosa nella società?

Mi sono posta anch’io la stessa domanda. Non sono rassegnata. Continuo a credere nel potere dei processi democratici, ma in relazione alla forte attenzione e al riconoscimento del primo episodio, le conseguenze politiche e giuridiche sono state zero. Naturalmente riconosco i miei limiti di attrice, non sono un’esperta di politica e non ho neanche voglia di entrare in politica, posso solo agire nel mio ambito artistico. Con il secondo episodio, speriamo che si smuova qualcosa politicamente. È ora che qualcuno si assuma la responsabilità per questo silenzio e per l’ignoranza sull’argomento. Nella società questo tema è già stato percepito abbastanza. Ci debbono essere finalmente delle conseguenze contro le violenze contro i bambini, e come abbiamo potuto apprendere ultimamente, contro le donne nella nostra società. Abbiamo uomini meravigliosi, sicuri e forti, abbiamo donne meravigliose, sicure e forti ma abbiamo bisogno anche di bambini forti.

Mi è piaciuto tantissimo il film “Un’estate sul balcone” del 2005 ed ho apprezzato molto la sua interpretazione. Secondo lei, quanto è cambiata Berlino da allora. Perché la sua decisione di traslocare da Berlino a Potsdam?

La città è in continua evoluzione. La casa, dove abbiamo girato le scene, non esiste più. Tutto sta cambiando celermente. Anche noi cambiamo. È già passato un bel po’ di tempo. È naturale che Berlino muti costantemente. Qualche volta questa metropoli diviene troppo grande, troppo stressante – esempio: io voglio andare da “A” a “B” e quando giungo a “B” non so più cosa volevo a “A” e inoltre sono molto stanca quando giungo a “B”. Per questo il motivo di trasferirmi con i miei figli a Potsdam, immersa nel verde. Sono una persona che ama la natura e la tranquillità. A Potsdam, che è stata da poco nominata la città tedesca più a misura di bambino, ho anche recitato in teatro.

Dal suo punto di vista, attrici e registe vengono discriminate in Germania? Vi è bisogno di una quota obbligatoria anche nell’industria cinematografica?

Io credo che le attrici, come molte donne in Germania, ricevano uno stipendio inferiore rispetto a quello degli uomini. Io però non mi vorrei considerare discriminata e non so, se le registe la pensano alla stessa maniera. Non sono disposta a recludere le donne al ruolo di vittime, perché ciò ci indebolirebbe. Siamo donne forti, dobbiamo rappresentare i diritti delle donne e condurre un dibattito sincero sulla nostra situazione attuale. Sia gli uomini che le donne hanno gli stessi diritti e doveri nel nostro Paese. Nessun uomo e nessuna donna, ad esempio, possono essere toccati contro la loro volontà. Non va bene! Ho fiducia nelle donne e negli uomini moderni della nostra società. Sono aperta a una discussione sulle quote obbligatorie, se possono essere utili, ma credo anche che le donne ce la faranno ad imporsi, con o senza quote, perché sono necessarie alla società contemporanea.

Quando e perché ha deciso di divenire attrice?

Non posso rispondere precisamente. Qualche volta mi pongo io stessa la domanda. La recitazione mi ha sempre riempito di gioia sin da bambina. Quando io lavoro con i bambini della classe di mia figlia, ritrovo me stessa. I bambini sono per natura attori entusiasti. Con i bambini si possono creare delle situazioni meravigliose – anche con quelli che vengono considerati problematici. È meraviglioso lavorare teatralmente con essi. Quando li ascolto o li osservo, riscopro un mondo, che mi ha accompagnato da bambina, e che ho sempre custodito in me. Durante il percorso della mia vita, ad un certo punto, qualcuno mi ha chiesto se non avessi voglia di trasformare questa mia passione per la recitazione in professione. Dunque, a dir la verità, mi sono rifugiata in questa nicchia della mia infanzia.

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