di Silvio Mengotto
Dopo un lungo cammino di integrazione, «per 42 famiglie rom è finito il tempo dei topi e delle baracche», oggi vivono in una casa, lavorano e i figli frequentano la scuola.
Finalmente visibili
«Per 42 famiglie rom – dice Stefano Pasta della Comunità di Sant’Egidio – è finito il tempo dei topi e delle baracche». Prima dello sgombero di via Rubattino (19 novembre 2009), al campo abitavano 350 persone, di queste 42 famiglie – cioè 200 persone – oggi vivono regolarmente in una casa in affitto. La Comunità di Sant’Egidio, il volontariato, le maestre e le mamme di via Rubattino, in primis le famiglie rom, sono stati i protagonisti di questo percorso di integrazione.
Questo cammino di inclusione nella società è stato espresso recentemente da papa Francesco nell’incontro (26 novembre ’15) in Vaticano con 7mila partecipanti al pellegrinaggio del popolo rom.
«Conosco le difficoltà – dice papa Francesco – del vostro popolo. Visitando alcune parrocchie romane, nelle periferie della città, ho avuto modo di sentire i vostri problemi, le vostre inquietudini e ho constatato che interpellano non soltanto la Chiesa, ma anche le autorità locali. Ho potuto vedere le condizioni precarie in cui vivono molti di voi, dovute alla trascuratezza e alla mancanza di lavoro e dei necessari mezzi di sussistenza. Ciò contrasta col diritto di ogni persona ad una vita dignitosa, a un lavoro dignitoso, all’istruzione e all’assistenza sanitaria. […] Che si volti pagina! E’ arrivato il tempo di sradicare pregiudizi secolari, preconcetti e reciproche diffidenze che spesso sono alla base della discriminazione, del razzismo e della xenofobia. […] Cari amici, non date ai mezzi di comunicazione e all’opinione pubblica occasioni per parlare male di voi. Voi stessi siete i protagonisti del vostro presente e del vostro futuro. Come tutti i cittadini potete contribuire al benessere e al progresso della società rispettandone le leggi, adempiendo ai vostri doveri e interrogandovi anche attraverso l’emancipazione delle nuove generazioni».
Un anno fa papa Francesco, incontrando la Comunità di Sant’Egidio di Roma disse «Tra voi si confonde chi aiuta e chi è aiutato. Chi è il protagonista? Tutte e due o per meglio dire l’abbraccio». A Milano «l’abbraccio con i rom – continua Stefano Pasta – è avvenuto nei momenti felici, tristi e difficili». Un abbraccio protagonista di una storia che ha accompagnato 42 famiglie rom dal campo a vivere dignitosamente e autonomamente in una casa.
I volti dell’abbraccio
I progetti si sono concretizzati su tre cammini, autentici pilastri per l’autonomia e la responsabilizzazione: la scuola, il lavoro e la casa. Al nastro di partenza la scuola. «I bambini – dice papa Francesco – sono il vostro tesoro più prezioso. I vostri ragazzi sentono la necessità di lavorare per la promozione umana personale e del vostro popolo. Questo esige che sia loro assicurato un’adeguata scolarizzazione. E questo dovete chiederlo: è un diritto! […] I vostri figli hanno il diritto di andare a scuola, non impediteglielo!»
L’incontro e la reciproca conoscenza tra alunni e le loro mamme – rom e italiani – è stato stimolato proprio dalla scuola, sia per la presenza di bambini rom nelle classi, sia per la presenza delle rispettive mamme all’entrata e all’uscita da scuola. Si formò un gruppo di maestre e mamme determinante per il cammino di scolarizzazione dei bambini: Flaviana, Assunta, Annalise, Anna e Garovizza.
Nel 2008 solo 9 erano i bambini rom iscritti alla scuola elementare di via Cima per salire, dopo un anno, a 36 presenze. «All’inizio – dice la maestra Flaviana – il pregiudizio ha pesato, ma la conoscenza e la coscienza hanno cambiato tutto». Gli sgomberi senza alternative credibili, oltre a non risolvere nulla, per i bambini rom iscritti a scuola sono deleteri perché spezzano il cammino scolastico e mortificano la speranza dei genitori.
«A scuola – continua Flaviana – nessuno si sceglie e si impara a stare insieme come persone. Non si può vivere da analfabeti e pensare di essere liberi. Anche per noi gadje (non rom) questa esperienza è stata una scuola che ci ha insegnato a fare i conti con i pregiudizi, a vivere meglio insieme, a costruire la pace senza delegarla».
Cristina (17 anni) è stata la prima alunna rom di Flaviana, con lei ha terminato la scuola elementare. Causa i ripetuti sgomberi in prima media ha perso l’anno scolastico. Volontariamente nel campo aiutava le cugine più piccole nello studio delle lettere dell’alfabeto e dei numeri. Oggi studia per parrucchiera. «Sono molto contenta – dice Cristina – della mia scuola e del mio futuro lavoro. Grazie alla scuola mi sento milanese».
Anna e Garovizza (donna rom) si conoscono dallo sgombero nel novembre 2009, tra loro e le rispettive famiglie è nata un’amicizia che continua. «Dopo lo sgombero – ricorda Garovizza – Anna mi ha ospitato nella sua casa. Ancora oggi mia figlia frequenta la famiglia di Anna e la sua bambina. Viene spesso invitata per le feste e le vacanze in montagna e al mare». Larissa (17 anni) si è diplomata alla scuola media «cercherò – dice Larissa – lavoro e spero di avere una casa, di fare una vita come gli altri italiani». Babar ha vissuto al campo di via Rubattino. «Chiedevo l’elemosina – dice Babar – poi, grazie all’incontro con i volontari ho cambiato la mia vita. Ho la terza media e frequentato un corso di termoidraulica. Da alcuni anni lavoro. Ho avuto una casa da proprietari italiani, gli sono riconoscente perché con la mia famiglia possiamo vivere e andare avanti». Anche alle istituzioni civili papa Francesco chiede «l’impegno di garantire adeguati percorsi formativi per i giovani gitani, dando la possibilità anche alle famiglie che vivono in condizioni più disagiate di beneficiare di un adeguato inserimento scolastico e lavorativo».
6 novembre ’15
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