di Emilio Esbardo
A giugno del 1975, il popolo britannico fu invitato, attraverso un referendum, a confermare l’adesione alla Comunità Economica Europea (CEE). La maggioranza votò per il “Sì” (67,2%). Il governo britannico aveva già chiesto di entrare a far parte della CEE – istituita il 25 marzo 1957 con il Trattato di Roma stipulato da Italia, Repubblica Federale di Germania, Francia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo – nel 1961, temendo di restare marginalizzata tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. Allora fu il generale De Gaulle, che si oppose fortemente. La Francia rimosse il suo veto soltanto nel 1973.
Il primo cambio di rotta contro il progetto europeo è avvenuto, nel 1979, con l’elezione di Margaret Thatcher a Primo ministro del Regno Unito, che a causa della grave recessione, che stava colpendo il suo Paese, ha sintetizzato il suo astio contro la CEE, con la famosa frase: “I want my money back” (rivoglio indietro i miei soldi).
Sempre a causa della richiesta di una riduzione dei contributi britannici alla CEE, nel 1984, François Mitterrand, che cederà in seguito alle pretese del premier britannico, rispose irritato alla Thatcher: “Signora mia, non è che voi siete poveri!”.
Nel 1992, il termine “economica” verrà tolto dalla CEE, la quale verrà soppiantata definitivamente dalla UE (Unione Europea), il primo dicembre 2009, con il Trattato di Lisbona.
ANALISI DEL VOTO
Giovedì 23 giugno 2016, i britannici hanno votato contro la permanenza in Europa. I protagonisti del “No” sono stati Nigel Farage e Boris Johnson.
Boris Johnson, 51 anni, ex sindaco di Londra ed ex giornalista corrispondente a Bruxelles. Alcuni lo definiscono come un Clown. Nigel Farage, 52 anni, ha abbandonato, 24 anni fa, il partito dei conservatori, come protesta all’adesione al Trattato di Maastricht (1992), voluta dall’allora premier John Major. 17 anni fa, ha fondato il Partito per l’Indipendenza del Regno Unito (“United Kingdom Independence Party”, abbreviato UKIP). I termini, più utilizzati, per incendiare l’odio delle masse, e raccogliere voti sono stati: “Banche”, “Multinazionali”, “Corruzione”, “Inganno”. Con la vittoria del “No” ha raggiunto il suo scopo politico: la divisione della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Boris Johnson, si è schierato, invece, a favore del “No”, per fare uno sgambetto politico al suo compagno di partito David Cameron e soppiantarlo alla guida del Paese. Il 21 febbraio 2016 ha inviato un SMS a Cameron, informandolo, che avrebbe sostenuto il fronte opposto al suo.
Secondo le statistiche riportate dalla stampa, il 73% degli inglesi, tra i 18 e i 24 anni, hanno votato per il “Sì”. A questi si aggiungono il 56% delle persone tra i 25-50 anni. Gli ultra cinquantenni hanno votato in preponderanza per il “No”.
A Londra la maggioranza ha votato per la permanenza in Europa, mentre nelle zone rurali si è deciso contro. Il 71% delle persone con un livello di istruzione superiore hanno votato per la permanenza, mentre il 66% di coloro i quali hanno interrotto gli studi hanno votato contro.
La Regina Elisabetta, che non si è espressa sul referendum, a 90 anni suonati, con le dimissioni di Cameron, riceverà prossimamente il suo 14simo Primo Ministro britannico. Cameron, che aveva sempre avuto fortuna finora, ha subito la “iattura” dell’Europa, che aveva già costretto alle dimissioni Margaret Thatcher e John Major.
La stampa europea è stata molto dura con Cameron. Basta citare l’affermazione di Felipe González Márquez apparsa su El País:
HA INCENDIATO LA CASA PER SALVARE I MOBILI ED È RIMASTO SENZA CASA E SENZA MOBILI. David Cameron passerà alla storia come IL politico irresponsabile che ha messo in gioco l’interesse generale della Gran Bretagna e dell’Europa per risolvere un suo problema personale e del suo partito…
Molto più morbida invece la linea della stampa britannica. Nell’articolo del The Times, intitolato “Intelligente, calmo, bravo, coraggioso, ma senza speranze contro la forza del partito”, vi è un ritratto di Cameron, come di persona intelligente, di famiglia aristocratica; lui e Blair sono gli unici due, tra gli ultimi sette Premier, a non aver frequentato una scuola statale. Anche se il referendum era sbagliato, non aveva altra scelta che indirlo, perché come termina l’articolo:
La sua giovinezza ha contribuito ad esporsi al rischio. Ma credo che, dopo 30 anni di grande acrimonia sull’Europa, non aveva altra scelta se non proclamare il referendum e il Paese rimpiangerà le sue dimissioni.
Lo stesso Cameron, bisogna aggiungere, era “debolmente” a favore del “Sì”.
REAZIONI A CALDO DELLA STAMPA EUROPEA E INTERNAZIONALE
Leggendo le reazioni a caldo della stampa europea e internazionale, a molti che non ne erano consapevoli, può apparire incredibile quanto odio e divisioni, vi sono, tra persone di Paesi differenti ma anche tra persone della stessa nazionalità.
Che terremoto e che conseguenze distruttrici, il “Brexit” comporta, basta pensare ai 1.3 milioni di britannici in Europa, che non sanno quale sarà il loro destino. E altrettanto dicasi, di tutti gli stranieri in Gran Bretagna, che, a loro volta, non conoscono il loro futuro…
Nel frattempo si parla di Frexit, Nexit e Czexit, di referendum in Scozia per l’indipendenza dal Regno Unito, ma anche in Irlanda del Nord; inoltre in Irlanda persone come Sinn Fein vorrebbero riunificare l’intera regione.
Trump, in Scozia, definisce il “Brexit” come “Una grande cosa”, perché con la svalutazione della moneta britannica, i profitti delle sue imprese, in questo Paese, aumenteranno di molto.
Barack Obama, invece, aveva appellato contro l’uscita dall’Europa.
E mentre i giornalisti italiani enfatizzano un ruolo di Renzi nell’incontro con la Merkel e Hollande, Le Monde parla unicamente di un asse portante Berlino-Parigi…
Ma procediamo per tematiche, iniziando a descrivere le preoccupazioni di tutte le persone che hanno rapporti con il Regno Unito. Una beffa per i circa 700.000 espatriati britannici in Europa, che non avevano diritto al voto.
BREXIT E LE CONSEGUENZE PER LE PERSONE
Germania. Il Berliner Morgenpost ha pubblicato un articolo intitolato “Was der Brexit für Berlin und seine Bürger bedeutet” (Cosa significa il Brexit per Berlino e per i suoi cittadini). A Berlino vivono e lavorano all’incirca 10.000 sudditi della Regina Elisabetta. Secondo quanto emerso dall’inchiesta del quotidiano tedesco, molti si vorrebbero affrettare ad ottenere un passaporto tedesco o di doppia cittadinanza. Mark Reeder, ad esempio, musicista e showman, ha raccontato di essere giunto a Berlino 38 anni fa. Oramai si sente più tedesco ed europeo che britannico.
Gran Bretagna. The Times riporta, che nel continente vi sono 1,3 milioni di persone che aspettano con orrore le conseguenze delle trattative diplomatiche con l’Unione Europea.
Con la svalutazione della sterlina, sarà molto più difficile per i pensionati tirare avanti all’estero, mentre i giovani temono la perdita del lavoro, se sarà reintrodotto l’obbligo del visto.
Danny Daniels, che lavora come consigliere comunale a Arboleas in Andalusia, dove dei 5000 abitanti, 3800 sono britannici, ha raccontato che le persone sono spaventate dalla probabile perdita del diritto alla assistenza sanitaria, finora gratis come cittadini europei. Le stesse paure hanno i 200.000 britannici, che vivono e lavorano in Francia.
Italia. Nell’articolo, de Il Corriere della Sera, “La Brexit e lo sgambetto dei nonni alle nuove generazioni”, vi è questo passaggio che descrive molto bene la sensazione di paura e incertezza dei giovani:
“I giovani inglesi, forse, non hanno saputo convincere le generazioni precedenti. Cosa gli accadrà? Cosa accadrà ai loro coetanei sul Continente, ormai di casa a Londra? (…) l’incertezza e l’ansia sono già certe. I giovani, in questo Paese, sono abituati a viaggiare, vivere e lavorare dovunque: grazie all’inglese, ai percorsi accademici, a una lodevole predisposizione all’esplorazione. E per i giovani italiani? Brexit, prima d’essere dannoso, è doloroso, come una separazione in famiglia (…)”. Vengono riportate molte testimonianze come quella di “Giovanni Crovetto, milanese, 32 anni, otto passati a Londra, lavorando in campo finanziario”.
Spagna. El País riporta un titolo molto forte: “Ci sentiamo come se fossimo in lutto – Gli spagnoli che risiedono a Londra vivono con stupore e incredulità”.
Tra le testimonianze vi è quella di Alberto Barba, un architetto, impiegato in un ufficio dell’irachena Zaha Hadid, dei cui 400 lavoratori solo il 5% è britannico. Barba vive da 13 anni a Londra ed ha tre figli. Pensa seriamente di trasferirsi.
La scultrice María Arceo, vive da 32 anni a Londra e ricorda ancora con apprensione i visti e gli ostacoli burocratici, quando nell’anno del suo arrivo, nel 1984, la Spagna non faceva ancora parte dell’Europa.
BREXIT E LE CONSEGUENZE ECONOMICHE
Germania. “Quali saranno le conseguenze economiche del Brexit a Berlino?”, si chiede il Berliner Morgenpost. Secondo i dati di Jan Eder, direttore della Camera di commercio della capitale tedesca, le esportazioni berlinesi in Gran Bretagna nel 2015 ammontano a 550 Milioni di euro. Il Regno Unito è il terzo più importante partner commerciale delle imprese berlinesi in Europa. I dazi potrebbero avere conseguenze negative.
Il quotidiano, afferma, però, che vi sono notizie positive: infatti, con il “Brexit”, Berlino diventerebbe la capitale europea delle start-up. Un effetto negativo, probabilmente: la speculazione immobiliare, che con l’uscita della Gran Bretagna, potrebbe spostare l’interesse degli affaristi a Berlino.
Per quanto riguarda l’economia dell’intera Germania, vi saranno dei cambiamenti drastici. Ad esempio il Regno Unito è la maggiore destinazione per le esportazioni d’automobili. Solo l’anno passato sono state vendute 820.000 auto in Gran Bretagna.
La Siemens, che ha una sede, in Gran Bretagna da 170 anni, sta pensando di abbandonare l’isola. La Deutsche Bank, che ha 8000 impiegati a Londra, ha già subito delle perdite in queste ore.
Come per Berlino, anche per l’intera Germania vi sono dei vantaggi: aumenterebbe ancor di più il peso tedesco nell’economia europea e probabilmente Francoforte sostituirà Londra come centro finanziario.
Gran Bretagna. The Times ha pubblicato un articolo, che spiega l’allarme tra gli industriali: “l’industria avverte di probabili perdite di posti di lavoro”.
L’industria dello Scotch si è già detta pessimista. La Nissan che impiega 7000 operai è tentata di spostare le proprie operazioni in Francia.
Airbus UK, che impiega 15.000 operai, minaccia di spostarsi in Germania, Francia e Spagna. La Rolls-Royce sta pensando addirittura di traslocare oltre oceano negli Stati Uniti o in Germania.
Italia. Il Corriere della Sera, riporta: “(…) Il paradosso è che questo voto finirà per impoverire ancora di più chi già è più vulnerabile (…) L’anno scorso per esempio il Regno Unito è tornato al record di 1,6 milioni di auto prodotte (…) Se Londra è fuori dal mercato interno europeo, le sue auto dovranno pagare un dazio del 10% per entrarvi e questo le metterà fuori mercato. L’indiana Tata ha già fatto capire che chiuderà degli impianti, Bmw rischia di fare altrettanto con le fabbriche della Mini (…)”. Ed aggiunge: “Di certo questa sindrome da declino colpisce in primo luogo i Paesi più fragili come l’Italia, soprattutto nei titoli azionari del settore finanziario che la Banca centrale europea non può proteggere”.
EFFETTO DOMINO
La stampa ha esternato la preoccupazione per un effetto domino del “Brexit”. La situazione in Europa non è molto bella.
Geert Wilders, fondatore del Partito per la Libertà (PVV), ha affermato, esultante: “Addio Brussel, adesso tocca ai Paesi Bassi”. Marine Le Pen presidente del Fronte Nazionale, ha twittato, “Viva la libertà! Ora abbiamo bisogno dello stesso referendum in Francia e in altri Paesi della UE”.
In Polonia e in Ungheria, al governo vi sono partiti populisti di destra. Critica la situazione anche in Austria (FPÖ, Il Partito della Libertà Austriaco, aveva quasi vinto, ultimamente, le elezioni presidenziali). In Germania da non sottovalutare è il partito AfD. E che dire poi di Viktor Orbán, che ha indetto un referendum per dire “No” al progetto di distribuzione equa dei rifugiati in Europa?
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