Come aveva già anticipato il direttore Dieter Kosslick, nella nostra intervista, la 63esima edizione della Berlinale, avrebbe visto protagoniste le donne, che sono state chiamate ad interpretare o a dirigere molti temi femminili di grande attualità.
Abbiamo scelto ed analizzato brevemente per voi lettori quattro film: Layla Fourie; Vic+Flo ont vu un ours; Gloria; La Religieuse.
In questo articolo parliamo di Layla Fourie.
La regista Pia Marais è cresciuta in Sudafrica e si è soffermata in seguito in più luoghi europei: Londra, Amsterdam, Spagna, Svezia, prima di stabilirsi definitivamente a Berlino. Ha studiato scultura, fotografia e cinematografia.
In lei vi è sempre stata una tendenza all’arte e al viaggio, cosa ereditata dai genitori: la madre è svedese, laureata in chimica; il padre, sudafricano, è attore.
Layla Fourie, film in concorso alla Berlinale, è la sua terza pellicola dopo Die Unerzogenen e Im Alter von Ellen.
Layla Fourie ha riportato Pia Marais nella sua nazione d’origine e riflette un razzismo ancora percepibile, dove i bianchi sono privilegiati rispetto alla popolazione di colore. Il progetto è stato realizzato con i fondi tedeschi.
La fiorente industria sui prodotti di sicurezza, sviluppatasi dopo l’abolizione delle leggi sulla segregazione razziale nel 1994, l’ha ispirata nella realizzazione di Layla Fourie.
Layla è una madre single, che per mantenere se stessa ed il figlio lavora per un’azienda, che costruisce macchine di rilevamento di bugie. “Se tutti fossero sinceri”, dice al suo datore di lavoro appena assunta, “saremmo tutti più felici”. Il suo compito è quello di adoperare la macchina per comprendere, durante i colloqui di lavoro, se i candidati raccontino la verità su se stessi, che non abbiano precedenti penali, che non bevano o si drogano.
L’evento principale della trama è l’incidente notturno di Layla, la quale, addormentatasi al volante, uccide un uomo, investendolo. La donna, non denunciando il fatto, inizierà ad imbattersi in una serie di eventi tipici di un thriller degno di tal nome.
Questa è la storia filmata da una donna, che racconta la storia di un’altra donna, suo malgrado forte, che lotta per “la sopravvivenza”, in una città quale Johannesburg, dove non è raro vedere persone uccise per strada e poliziotti forniti di giubbotti antiproiettile. È l’amore per suo figlio che la spinge “andare avanti”.
di Emilio Esbardo
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