di Emilio Esbardo
Indice articolo MaerzMusik 2014: Einstein sulla spiaggia – A Berlino! A Berlino! La storia attraverso la musica – La topografia della città attraverso la musica – i concerti
Secondo i dati ufficiali il festival di musica contemporanea MaerzMusik (dal 14 al 23 marzo) ha registrato la presenza di 15.000 visitatori. In quasi tutti i 40 eventi c’è stato il pienone. I concerti si sono tenuti in 13 luoghi differenti della città. La sede centrale, come ogni anno, è stata quella dei Berliner Festspiele, che sono gli ideatori e gli organizzatori dell’evento.
Per tutti gli ammiratori di Berlino, bisogna citare i posti dove si sono tenute le rappresentazioni, perché sono tra i più rinomati della città e che vale la pena visitare: “Volksbühne” vicinissimo ad Alexanderplatz, “Club Berghain” famoso locale a livello internazionale, “Radialsystem V”, “Sophiensæle”, “Konzerthaus” che si trova a Gendarmenmarkt la più bella piazza berlinese, “Philharmonie”, la chiesa “Paul-Gerhardt-Kirche”, “Langenbeck-Virchow-Saal”, una volta sede della Camera del Popolo della DDR, “Fahrbereitschaft” e “Museum für Naturkunde” (Il Museo di Storia naturale).
Durante la conferenza stampa il direttore artistico Matthias Osterwold ha annunciato, con voce emozionata, quasi in lacrime, che quest’anno abbandona il suo incarico.
Matthias Osterwold ha ringraziato tutti i suoi collaboratori e si è detto orgoglioso di aver potuto terminare la sua avventura di MaerzMusik con la messa in scena del leggendario e mastodontico spettacolo musicale-teatrale Einstein on the Beach (Einstein sulla spiaggia). La rappresentazione è stata possibile grazie alla generosa donazione fatta da Inga Maren Otto.
Il direttore artistico ha raccontato ai giornalisti di aver assistito alla prima di quest’opera nel 1976: allora molto innovativa.
Einstein on the Beach, realizzata da Robert Wilson (regia) e Philipp Glass (musica, libretto) e che si avvale della coreografia di Lucinda Childs, è un’opera in quattro atti, senza una trama lineare, composta da numeri, sillabe solfeggiate, pezzi di poesia che si riallacciano, oltre naturalmente alla teoria della relatività, a temi attuali di quel periodo quali le armi nucleari e la scienza.
Lo spettatore assiste ad un’opera che dura complessivamente 3 ore e si suddivide in nove scene da 20 minuti. Ogni cambio di scena provoca grandi emozioni, perché il pubblico si ritrova ogni volta di fronte a scenari totalmente differenti composti da allestimenti mastodontici.
La sensazione che si ha osservando lo spettacolo è di far parte di un’esibizione onirica, dove il tempo sembra essersi fermato, confermando così a livello artistico ed emozionale la teoria della relatività di Einstein.
In una dimensione atemporale, catturati dalle immagini e dai suoni, ci si ritrova in differenti luoghi fantastici, che terminano con l’arrivo di un treno, rischiarato dalla luce lunare, condotto da un uomo di colore. Gli ultimi istanti dello spettacolo sono istanti di poesia pura, che rimangono impressi a lungo dopo la fine dell’opera.
Questa tredicesima edizione di MaerzMusik si è conclusa in allegria con una festa nella sede dei Berliner Festspiele, allietata dalla musica del DJ Ipek.
Il Festival MaerzMusik è stato fondato nel 2002 proprio da Matthias Osterwold. Il suo successore è Berno Odo Polzer.
A Berlino! A Berlino! – La storia attraverso la musica
Al centro dell’edizione 2014 di MaerzMusik c’è stata Berlino: città ideale dove la giovane scena musicale sperimentale può continuare a crescere e a svilupparsi.
Non è difficile per la moltitudine di nuovi artisti che si trasferiscono nella capitale tedesca di inserirsi ed esibirsi nei più disparati locali sparsi soprattutto nei quartieri di Friedrichshain, Prenzlauer Berg, Kreuzberg e ultimamente Neukölln.
La cultura sperimentale va a braccetto con la cultura ufficiale (sovvenzionata dallo Stato) ed è molto interessante il connubio che si è rivelato anche durante MaerzMusik.
I concerti, infatti, si sono tenuti in locali in totale antitesi tra di loro: ad esempio nell’edificio in rovina del Club Berghain ed in quello “aristocratico” della Philharmonie.
Berlino è inoltre una città cosmopolita che attira come una calamita migliaia di artisti stranieri che vi si recano attratti dal clima di tolleranza, dagli affitti e dal costo della vita ancora bassi, rispetto ad altre capitali europee quali Parigi, Londra o Roma.
Proprio questi artisti “immigrati” hanno arricchito la scena culturale di Berlino e sono stati il punto focale di MaerzMusik.
Attraverso loro e la loro musica si possono conoscere i locali e la vita artistica della capitale e si può tracciare una mappatura culturale e fisica di Berlino.
Molti di questi artisti vivono nella metropoli tedesca da più di 30 anni e grazie a loro si può anche apprendere la ricca tradizione musicale sperimentale berlinese che è nata prima della caduta del Muro, sia nell’ex parte ovest, sia nell’ex parte est.
“Nel 1987 mi sono trasferito a Berlino ovest per studiare di nuovo composizione. Questa era una delle poche possibilità per ottenere il permesso di soggiorno” [1], racconta il musicista brasiliano Chico Mello in una intervista intitolata Berlino non appartiene alla terra, pubblicata nell’opuscolo ufficiale di MaerzMusik.
“Questo periodo all’Accademia di Musica mi ha influenzato moltissimo”, così continua il suo racconto Chico Mello, “parallelamente ho conosciuto Silvia Ocougne e l’intera scena brasiliana a Berlino. Per guadagnare soldi, ho suonato nei locali (…) Ho amato questa scena musicale. Allora c’era una grande apertura nei confronti dei musicisti degli Stati Uniti. Vi erano anche molte piccole isole musicali in città: ad esempio la serie di concerti nella cucina di Konstanze Binder; ho partecipato a molti concerti della cosiddetta musica non europea (…) A Kreuzberg, dove andavano di moda le case occupate, fioriva la scena punk” [2].
Le città della Germania erano tutte identiche ed artificiali in quanto ricostruite quasi interamente e con gli stessi parametri architettonici dopo essere state distrutte durante la Seconda Guerra Mondiale.
Berlino, a causa della divisione, non era stata rimessa a nuovo e conservava le ferite del conflitto bellico, sulle facciate degli edifici c’erano ancora i segni delle pallottole e vi erano molti spazi vuoti non riempiti con nuove costruzioni. Berlino era l’unica città genuina e dai tratti singolari della Germania.
Ecco perché Arnold Dreyblatt ha deciso, agli inizi degli anni ottanta, di lasciare la sua New York per trasferirsi nella zona ovest della metropoli tedesca.
Il periodo che l’ha colpito di più è stato però quello dei primi anni del dopo Muro, della cosiddetta Wendezeit (periodo della svolta), quando la città ha cambiato velocemente volto.
“Mi viene in mente una giornata nell’ottobre 1991. Siedo nel mio appartamento e guardo un canale televisivo berlinese via cavo”, ricorda David Moss, “Alla trasmissione, sedute ad un tavolo, partecipavano persone importanti nel campo della cultura e la domanda era: Cosa dovrebbe diventare Berlino? Dal mio punto di vista era una domanda eccezionale. Era una domanda che non si poteva porre per New York (…) Era un momento di rivoluzione culturale, sì! – La possibilità di reinventare, costruire una città!” [3]
Ecco come testimonia il rapido processo di trasformazione Sergej Newski tra i primi artisti ad aver preso la decisione di affittare un appartamento nella zona est di Berlino dopo la caduta del Muro:
Io sono giunto a Berlino nel 1994 per studiare. Allora era consuetudine, vivere nella parte est della città e frequentare le università dell’ovest. L’infrastruttura della zona di Simon-Dach-Straße nel quartiere Friedrichshain, oggi alla moda e piena di feste, consisteva solo in un unico negozio; c’erano spesso scontri sulla strada tra i nazisti, i gruppi autonomi e la polizia. Il tempo medio di attesa per l’allaccio telefonico a Berlino est era di 6 mesi. [4]
Un ruolo centrale nell’inserimento degli stranieri a Berlino ovest lo ha giocato il DAAD con la sua borsa di studio annuale per gli artisti, istituita nel 1963. A Berlino est a far da magnete, invece, è stata l’Accademia delle Belle Arti.
La topografia della città attraverso la musica
Passeggio lungo la via Schlesische Straße. In tarda mattinata è deserta. Qui nel quartiere di Kreuzberg vi sono pochissime auto in maggioranza rappezzate; raramente si scorge un cartellone pubblicitario, non si vede nessun cantiere, non c’è un’anima viva. Le pareti delle case sono ingrigite, decadenti e trascurate. Mi giro per guardare oltre il fiume Sprea e anche sull’altra sponda non c’è niente (…) Rovine inutili dei secoli scorsi, come può sembrare a prima vista; testimonianze di conflitti militari di millenni precedenti? Continuo a passeggiare verso ovest, dove tutto è ancora più vuoto. Appena qualche auto parcheggiata [5]
È questo l’inizio del bello ed interessante articolo The Berlin Fiction di Holger Schultze [6] all’interno dell’opuscolo ufficiale di MaerzMusik, attraverso il quale si propone di sostenere la tesi del festival: la possibilità di tracciare una mappatura, una topografia culturale e fisica di Berlino grazie ai musicisti che hanno formato la scena culturale della città. Essi raccontano e testimoniano, attraverso la loro musica e le loro autobiografie, luoghi ed eventi del passato e del presente destinati a scomparire velocemente inghiottiti da una città in continua e frenetica trasformazione.
La musica e i musicisti diventano così testimonianza del passato e del presente, di cui difficilmente rimangono molte tracce nel futuro.
In risalto vengono messi gli artisti stranieri che con la loro presenza hanno modellato il volto di Berlino trasformandola in una citta cosmopolita:
“In periodi temporali differenti”, così affermano Barbara Barthelms e Matthias Osterwold (direttore artistico di Maerzmusik) nel loro articolo, “vengono evidenziati, creati differenti luoghi culturali. Dai primi anni ottanta fino ad oggi vi è stato un constante afflusso di musicisti e compositori da tutto il mondo” [7].
Il loro significativo ruolo nella conservazione del passato viene immediatamente messo in evidenza dagli autori dell’articolo, che parlano del lascito “di segni, di tracce del loro periodo come quello prima e dopo la caduta del Muro” [8].
Attraverso la loro musica e le loro autobiografie non facciamo altro che ridisegnare fisicamente luoghi scomparsi che hanno fatto la storia della città e che hanno contribuito allo sviluppo del suo aspetto moderno.
In modo molto intelligente Holger Schultze lascia comprendere come ogni posto acquista una certa caratteristica, una “certa fisicità”, grazie alle persone che vi circolano. Ogni edificio, ogni strada, ogni locale che compongono un quartiere non sono nient’altro che il riflesso della vita della gente che vi abita. In ogni epoca storica i bisogni della gente, i loro sogni, le loro speranze, i loro obiettivi, si riflettono nell’architettura della città. Quando passeggiamo per una città respiriamo vite intere. Sia gli edifici pubblici che quelli privati rispecchiano il gusto e le tendenze di un’epoca legate alle scelte politiche:
Ogni luogo non è casuale e privo di significato. Esso rappresenta ed archivia la storia e i desideri storici di tale luogo (…) Ogni abitazione, ogni pianificazione stradale è una decisione politica e dunque una decisione ossessiva e narcisista: una speranza di autoperpetuazione. [9]
Ad esempio la Berlino del dopoguerra è stata la città dove l’architettura, il teatro, la musica, la letteratura mostrano il conflitto, lo scontro tra l’ideologia capitalista e comunista. Basti citare a tal proposito la Stalinallee, che è stata progettata per soddisfare la funzionalità socialista; un’ampia strada capace di contenere grandi masse per grandi dimostrazioni:
La strada del futuro – questo era il cammino della giovane generazione in una nuova era, ma contemporaneamente era già anche il futuro stesso: nuove costruzioni, belle, moderne e ben illuminate. Nelle città del futuro ci dovranno essere ampie strade, dove ci sia spazio per masse di dimostranti, che lascino lo sguardo libero al cielo e dove un venticello estivo possa soffiare ed agitare le bandiere. Però la strada del futuro deve essere diritta, senza curve volta verso il sole che sorge… [10]
Nel caso specifico dei musicisti e degli artisti stranieri, essi portano con sé i loro sogni, le loro aspettative, le loro tradizioni, le loro speranze, le loro paure, le loro visioni e plasmano il luogo dove si trasferiscono, cambiandone i lineamenti. Come chirurghi estetici mutano, inconsapevolmente, l’aspetto e il modo di vivere del quartiere dove si insediano:
Giungono nel posto e non portano nient’altro che le loro speranze ed i loro desideri, i motivi del loro viaggio. Spesso in modo sbagliato, astruso, ingenuo, infantile. Ma qui sta la loro forza (…) Persistono nei loro sogni, in quanto realmente realizzano cose e riordinano la materia. Si crea qualcosa di nuovo. Le proiezioni positive dei nuovi arrivati forgiano la città. Col tempo hanno i loro appartamenti stabili e i loro posti di lavoro fissi a Berlino e vivono il loro quartiere più di quanto facciano molti altri che vi abitano da molto più tempo. Essi trottolano in giro, fanno passi falsi, si riprendono e apportano ogni volta un elemento nuovo nel loro quartiere. Inconsapevolmente (…) [11]
Dopo aver esaminato attentamente il risultato dell’arrivo di molti stranieri a Berlino, sul libro guida del Festival, vengono accentuati i motivi per cui gli artisti scelgono come meta la capitale tedesca. Sempre nell’articolo di Barbara Barthelms e Matthias Osterwold si mette in evidenza il fascino che esercita la metropoli:
Tutt’oggi Berlino conserva il singolare carattere di luogo quasi extraterritoriale in campo sociale e culturale, come un laboratorio sociale (…) Non è principalmente a causa di difficoltà materiali, che porta i musicisti e i compositori a scegliere Berlino come luogo di lavoro, piuttosto la ricerca di migliori condizioni per il loro sviluppo artistico (…) Non è solo perché si possono ricevere fondi, bensì anche l’ambiente sociale, il contatto con altri artisti, l’infrastruttura della scena musicale contemporanea e il fatto che il proprio lavoro viene percepito dall’opinione pubblica. [12]
Per questo si è deciso all’interno dell’opuscolo guida del festival di dare la parola agli artisti stessi che in generale descrivono così la loro esperienza in città:
Aperta, rilassata, libera, intellettuale, creativa, informale – così caratterizzano i compositori e i musicisti, che prendono la parola, la loro esperienza nel campo specifico della musica, con il quale si sono confrontati. [13]
Se a Berlino ovest gli artisti stranieri si trasferivano per l’atmosfera d’internazionalità, a Berlino est erano più le convinzioni ideologiche ad attirare scrittori, musicisti, pittori, attori, etc. In entrambi i settori sono state realizzate nuove strutture con il compito di rendere la scena culturale sempre più attrattiva.
Nella parte ovest, in ambito musicale, da citare sono la Philharmonie (realizzata nel 1963 dall’architetto Hans Scharoun) nei pressi di Potsdamer Platz, a Zehlendorf nel settore americano la Haus am Waldsee, nel settore inglese la Musikbibliothek Charlottenburg. Nel settore sovietico invece il Club der Kulturschaffenden e l’Accademia delle Belle Arti. Inoltre nel 1967 è stata fondata la Biennale di musica a Berlino, dove ad esibirsi erano anche artisti del settore occidentale.
Con la riunificazione della città, la Biennale di musica a Berlino è stata presa in gestione dai Berliner Festspiele. La Biennale è stata sostituita nel 2002 da MaerzMusik.
I Berliner Festspiele (nati nel 1951 con il nome di Berliner Festwochen), il DAAD, l’Accademia delle Belle Arti ovest, le radio RIAS e SFB sono state le istituzioni culturali più importanti del settore ovest.
Immediatamente dopo la caduta del Muro, la scena culturale si è spostata nell’ex zona est, che attirava gli artisti per gli affitti bassissimi e alla scoperta di un mondo totalmente nuovo ed in antitesi a quello occidentale.
Berlino è diventata repentinamente la mecca e la capitale della musica sperimentale. Concerti leggendari si sono tenuti in terreni incolti, in fabbriche in disuso, in strutture in ristrutturazione, in edifici in rovina che erano nello stesso stato di conservazione come subito dopo la seconda guerra mondiale. Ma anche in chiese ed in luoghi di “alta cultura” come la Konzerthaus nella Gendarmenmarkt e la Philharmonie a Potsdamer Platz. Da non dimenticare sono poi locali quali „ausland“, „Raumschiff Zitrone“, „Loft“, „SO 36“, „ohrenhoch – der Geräuschladen“
I concerti
MaerzMusik è stata inaugurata venerdì 14 Marzo con la rappresentazione “IQ – Testbatterie in acht Akten” di Enno Poppe, Marcel Beyer e Anna Viebrock presso la sede dei Berliner Festspiele.
Con questo pezzo bello ed interessante, Enno Poppe chiede a se stesso e porta lo spettatore a domandarsi che cosa sia effettivamente l’intelligenza e cosa si misura quando la si misura.
“IQ” è stato realizzato dal lavoro di gruppo di artisti ben conosciuti e molto apprezzati in Germania: oltre alla musica di Enno Poppe, c’è stato l’ottimo lavoro di Anna Viebrock, addetta alla regia e alla scenografia, e Marcel Beyer, che ha curato il testo.
Enno Poppe, classe 1969, originario di Hemer, ha studiato all’Accademia delle Belle Arti a Berlino, prima di intraprendere la carriera professionale di pianista e di divenire direttore del “Berliner ensemble mosaik”.
Anna Viebrok è divenuta una scenografa molto apprezzata in Germania, soprattutto durante la sua collaborazione con il regista Christoph Marthaler. Insieme hanno realizzato, nel 1993, presso la Volksbühne a Berlino, la leggendaria rappresentazione Murx den Europäer! Murx ihn! Murx ihn! Murx ihn! Murx ihn ab! (“Uccidi l’europeo! Uccidilo! Uccidilo! Fallo fuori!”).
Con “IQ” si prende in considerazione la nascita del test d’intelligenza, creato alla fine del 19simo secolo con l’obiettivo soprattutto di formare delle classi razziali. Il risultato era dunque la divisione degli esseri umani in classi. Oggi il test, a differenza del passato, serve soprattutto allo scopo di tentare di misurare le qualità intellettive della singola persona. Per ogni persona c’è un risultato differente. “IQ” analizza i parametri di valutazioni del test ed il modo come essi vengono ideati.
In otto atti viene inscenata la situazione tipica di un test di intelligenza.
Con il concerto “Denseland” di David Moss, Hannes Strobl, Hanno Leichtmann, ho avuto la sensazione di essere ritrasportato indietro nella Berlino divisa dal Muro quando andava di moda la musica innovativa, sperimentale, underground di Lou Reed o degli Einstürzende Neubauten.
David Moss proviene da New York, dove la scena sperimentale ha giocato un ruolo fondamentale e da dove si è diffusa a livello internazionale. È cantante e percussionista. Sono rimasto impressionato dalla sua voce rauca, che sembra quasi un piagnisteo nasale. Le canzoni in alcuni punti sono delle vere e proprie letture.
La voce di David Moss è compatibile con questo tipo di musica con timbri elettronici e minimalisti. La voce di David Moss è una convergenza di rumori sgradevoli, ronzii e distorsioni, ritmi non lineari ed incoerenti.
Il concerto “Denseland” si è tenuto sabato 15 marzo nella sala al primo piano dell’edificio dei Berliner Festspiele. Al termine, verso mezzanotte, con i mezzi di trasporto, ho attraversato le strade illuminate dell’ex Berlino ovest, fino a giungere al mio appartamento sito a Pankow, una volta sede dei politici più importanti della DDR. La mattina successiva mi sono alzato ascoltando in modo del tutto naturale la stupenda canzone “Sunday Morning” (“Domenica mattina”) di Lou Reed, interpretata dalla voce rauca ed angelica di Nico. Mi è sembrato di vivere in una realtà parallela e di essere il protagonista di una delle tipiche giornate domenicali piovigginose della Berlino divisa dal Muro.
Domenica 16 marzo è iniziato il mio pellegrinaggio nei differenti luoghi della città, dove sono stati tenuti i concerti. Alle 4 di pomeriggio, presso il Radialsystem V a due passi da Ostbahnof, la stazione centrale dell’ex Berlino est, c’è stato l’evento “Ensemble KNM Berlin”, suddiviso in tre concerti: “Hydra” di Alexandra Filonenko, “À propos” di Fabien Lévy e “Scompositio” di Boris Filanovsky.
“Hydra” ha giocato sulla trasformazione costante del tema sonoro, che ha generato confusione nello spettatore. La compositrice Alexandra Filonenko, nata il 1972, originaria di Donec’k (Ucraina), ha studiato al conservatorio di Mosca P.I. Tschaikowski. Si è trasferita a Berlino grazie alla borsa di studio dell’Accademia delle Belle Arti.
“À propos” utilizza, a dirla con le stesse parole del suo autore Fabien Lévy, strumenti “poveri”, costruiti con materiali semplici, visto che la sua opera viene influenzata dal movimento italiano d’Arte Povera, nata nel 1968. Fabien Lévy, classe 1968, è originario di Parigi ed ha studiato presso il Conservatoire National Supérieur de Musique. Fabien Lévy ha soggiornato a Berlino nel 2001, ottenendo la borsa di studio del DAAD.
Boris Filanovsky, nato il 1968 a San Pietroburgo, è l’autore di “Scompositio: per voci femminili”. Attualmente dirige l’eNsemble des Pro Arte Instituts. “Scompositio” è inspirata alla vicenda di Emma Hauck del 1909, madre di due bambini, rinchiusa, a soli 30 anni, in una clinica per schizofrenici, dove ha scritto costantemente delle lettere a suo marito che contenevano solo due parole “Tesoro, vieni”. Emma non ha mai più rivisto né suo marito né i suoi figli.
Alle ore 20.00, sempre di domenica, ho assistito al pezzo musicale-teatrale “Shiva for Anne – Jenseitstrilogie III” della compositrice svizzera Mela Meierhans, dove la musica ed il teatro si uniscono alla letteratura, alla cinematografia, al ballo e all’architettura.
È una rappresentazione molto bella, che lascia un gusto di amarezza, in quanto essa è dedicata alla amica di Mela Meierhans, la poetessa Anne Blonstein, deceduta nel 2011. “Shiva for Anne” è la terza parte della trilogia sui rituali di lutto e sui canti funebri: in essa s’inscena la Shiva (termine ebraico che significa “sette”).
Nella religione ebraica, sette sono i giorni dedicati al lutto per i parenti di primo grado, durante i quali, i familiari rimangono uniti per ricevere i visitatori in cordoglio. Sette giorni e sette notti vengono riassunti nei 70 minuti dello spettacolo teatrale.
Durante il periodo di cordoglio veniamo a conoscere bene l’autobiografia di Anne Blonstein, che, oltre ad amica, è stata anche una collaboratrice di Mela Meierhans.
La composizione musicale tiene il ritmo della Shiva, i cantanti intonano poesie ermetiche. La voce fuori campo racconta i dialoghi realmente avvenuti tra Anne Blonstein e Mela Meierhans, che ci portano a conoscere un po’ meglio la cultura ebraica.
Lunedì 17 marzo, nel Museo di storia naturale berlinese (Museum für Naturkunde), mi sono divertito ed ho goduto lo spettacolo “Constructing Jungle Books” del compositore norvegese Øyvind Torvund e della Splitter Orchester, durante il quale viene sollevata la domanda di cosa siano la natura e la cultura e in che cosa differiscono tra di loro. Øyvind Torvund ha ottenuto la borsa di studio del DAAD nel 2013.
Mercoledì 19 marzo ho trascorso una piacevole serata alla Philharmonie presso Potsdamer Platz, dove si è tenuto l’evento “Berlin Pianopercussion”, con il seguente programma:
– Georg Katzer: “Exkurs über die Mechanik”
– Charlotte Seither: “Running Circles”
– Arthur Kampela: “Das Tripas Coração”
– Oliver Schneller: “Cyan”
– Hugues Dufourts: “L’Eclair d’après Rimbaud”
Il pezzo che mi è piaciuto di più è stato “L’éclair d’après Rimbaud”, che fa riferimento alla poesia del poeta francese “Il lampo” presente nel libro “Una stagione all’inferno”. Rimbaud aveva scritto questa poesia dopo un fortissimo litigio con il suo amante. Il 10 luglio 1873 Verlaine, in stato di ubriachezza, ha sparato due colpi di pistola a Rimbaud in un hotel in Belgio. “Il lampo” s’inserisce in un contesto di protesta contro le soffocanti norme societarie.
La mia tappa successiva, giovedì 20 marzo, è stato il teatro Volksbühne presso la Rosa-Luxemburg-Platz, dove ho assistito all’evento “Ensemblekollektiv Berlin”, con il seguente programma:
– Hanna Eimermacher: “Überall ist Wunderland”
– Ondřej Adámek: “Karakuri Poupée Mécanique”
– Clara Iannotta: “Clangs”
– Sergej Newski: “Fluss”
– Samir Odeh-Tamimi: “Cihangir”
Qui vorrei mettere in evidenza la bella composizione “Clangs” dell’italiana Clara Iannotta, che nel 2003 ha ricevuto la borsa di studio DAAD. Prima di approdare a Berlino ha soggiornato cinque anni a Parigi. Clara Iannotta è nata il 1983. Ha studiato presso il Conservatorio Santa Cecilia a Roma. Come in tutte le sue opere anche “Clangs” è marcata da una certa teatralità. “Clangs” (2012) è dedicata ad Alessandro Solbiati, come ha scritto la stessa Iannotta nella sua homepage, che invito a visitare: http://claraiannotta.com/works/ensemble/clangs/
Venerdì sera eccomi nella Konzerthaus (sala concerti) di Berlino, costruita tra il 1818 e il 1821 nella Gendarmenmarkt, dove si è tenuto l’evento “Konzerthausorchester Berlin, suddiviso in:
– Friedrich Goldmann: “Konzertstück für Orchester”
– Unsuk Chin: “Šu”
– Michael Wertmüller: “Zeitkugel”
A colpirmi maggiormente è stato il virtuosismo di Wu Wie nel suonare l’antico strumento a fiato cinese Sheng, il primo al mondo ad utilizzare l’ancia libera. Si ritiene che sia stato costruito più di 3000 anni fa. Affascinato mi sono lasciato trasportare dal suo suono dalla dolce tonalità.
Sabato 22 marzo ho assistito allo spettacolo “morepianos I, II” di Makiko Nishikaze nella chiesa Paul-Gerhardt-Kirche nel quartiere berlinese Schöneberg.
Makiko Nishikaze, classe 1968, giapponese, è un’altra artista straniera inseritasi benissimo nella scena culturale berlinese. I suoi studi di composizione li ha approfonditi proprio nella capitale tedesca sotto la guida di Walter Zimmermann.
Quello di Makiko Nishikaze è stato un concerto di nove piani, che secondo le intenzioni della compositrice devono essere intesi come un unico strumento virtuale.
La singolarità dell’esibizione è il fatto che durante il concerto i pianoforti vengono spostati per la sala della chiesa, come se essi fossero gli attori dello spettacolo. Gli spostamenti non erano causali bensì già ben definiti, stabiliti a priori. Tutto questo per generare un cambiamento visivo ed acustico dello spazio dove si teneva il concerto. Parte del suono era anche il fruscio di fogli di carta, che strappati, venivano lasciati cadere sul pavimento.
Dopo 9 giorni si è conclusa in bellezza la mia avventura del Festival MaerzMusik con il pezzo musicale “Anschlag” di Michael Wertmüller. Il testo, scritto da Lukas Bärfuss, porta lo spettatore a riflettere su temi importanti quali il significato della vita, la morte e la malattia. Il titolo “Anschlag” (attentato) per riportare le parole di Michael Wertmueller è legato al tempo: “Il tempo è sempre stato un attentato contro la vita”.
Michael Wertmueller e Lukas Bärfuss sono due tra le più importanti personalità contemporanee del mondo della cultura svizzera.
L’appuntamento con MaerzMusik è per l’anno prossimo. Il nuovo direttore artistico del festival è Berno Odo Polzer.
[1] Articolo Berlin gehört nicht zur Erde – Ein Gespräch mit Chico Mello, in: Nach Berlin! Nach Berlin! Berlin – Magnet musikalischer Immigration, Berliner Festpiele, Januar 2014, pag. 31 (traduzione libera di Emilio Esbardo)
[2] Ibidem, pag. 31 (traduzione libera di Emilio Esbardo)
[3] Articolo Imaginäre Städte bauen! – Ein Gespräch mit David Moss, in: Nach Berlin! Nach Berlin! Berlin – Magnet musikalischer Immigration, Berliner Festpiele, Januar 2014, pag. 35 (traduzione libera di Emilio Esbardo)
[4] Articolo Mein Berlin, in: Nach Berlin! Nach Berlin! Berlin – Magnet musikalischer Immigration, Berliner Festpiele, Januar 2014, pag. 39 (traduzione libera di Emilio Esbardo)
[5] Articolo The Berlin Fiction di Holger Sculze, in: Nach Berlin! Nach Berlin! Berlin – Magnet musikalischer Immigration, Berliner Festpiele, Januar 2014, pag. 15 (traduzione libera di Emilio Esbardo)
[6] Holger Schultze commenta all’inizio del suo articolo le immagini di un video documentario del 1979 realizzato da Ingeborg Euler, che si intitola “Berlinische Berichte”
[7] Articolo Magnetischer Klangraum Berlin di Barbara Barthelms / Matthias Osterwold in Nach Berlin! Nach Berlin! Berlin – Magnet musikalischer Immigration, Berliner Festpiele, Januar 2014, pag. 19 (traduzione libera di Emilio Esbardo)
[8] Ibidem (traduzione libera di Emilio Esbardo)
[9] Articolo The Berlin Fiction di Holger Scultze, in: Nach Berlin! Nach Berlin! Berlin – Magnet musikalischer Immigration, Berliner Festpiele, Januar 2014, pag. 15 (traduzione libera di Emilio Esbardo)
[10] Hans – Hermann Hertle; Stefan Wolle, Damals in der DDR – Der Alltag im Arbeiter und Bauernstaat, Goldmann, München, 2006, pag. 51 (traduzione libera di Emilio Esbardo)
[11] Articolo The Berlin Fiction di Holger Scultze, in: Nach Berlin! Nach Berlin! Berlin – Magnet musikalischer Immigration, Berliner Festpiele, Januar 2014, pag. 17 (traduzione libera di Emilio Esbardo)
[12] Articolo Magnetischer Klangraum Berlin di Barbara Barthelms / Matthias Osterwold in Nach Berlin! Nach Berlin! Berlin – Magnet musikalischer Immigration, Berliner Festpiele, Januar 2014, pag. 19/20 (traduzione libera di Emilio Esbardo)
[13] Ibidem, pag. 20 (traduzione libera di Emilio Esbardo)
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