Il jazz è il tipo di musica che più velocemente reagisce agli eventi in corso. Non ha niente a che vedere con gli spartiti e con l’orchestra, bensì richiede come arte dell’improvvisazione una presa di posizione. (Frase di Günter Baby Sommer da un’intervista pubblicata nel libricino d’accompagnamento al CD Songs for Kommeno)
Anche quest’anno il JazzFest, uno dei festival del suo genere più rinomati a livello internazionale, ha avuto un grandissimo successo di pubblico e di critica: più di 6000 persone si sono recate ai concerti tenutosi nella Haus der Berliner Festspiele, nel Quasimodo, nell’A-Trane e nella Akademie der Künste.
L’evento è stato organizzato sotto la regia di Bert Noglik, il nuovo direttore artistico.
L’edizione di quest’anno è ritornata alla tradizione più classica del jazz. Con i precedenti direttori, Nils Landgren e Peter Schulze, si era teso verso una modernizzazione del festival.
L’altra grande novità è stata la rinuncia ad ingaggiare una Big Band e la cancellazione dei concerti notturni nella Seitenbühne.
Nello storico club Quasimodo, reso celebre dall’italiano Giorgio Carioti, con il quale il Nuovo Berlinese ha fatto un’intervista, si sono esibiti Daktari, Nils Wogram, Root 70, Marius Neset. Nils Wogram, classe 1972, uno dei più significativi trombonisti della Germania, apprezzato compositore e musicista jazz, è costantemente in tour in tutto il mondo. Ha ricevuto numerosi premi ed una borsa di studio per gli Stati Uniti. A New York, dove si è esibito nei cortili interni dei palazzi, ha assimilato il suono jazz americano. Nils vive a Zurigo e produce i suoi CD con la propria etichetta musicale: nwog records.
Nel locale A-Trane, si sono esibiti LebiDerya, Rabih Lahouds Masaa. LebiDerya è un gruppo composto da musicisti turchi e tedeschi: Muhttin Kemal Temel, Joss Turnbull, Johannes Stange, Stefan Baumann. La band è un incontro/scontro tra due culture così differenti tra di loro: l’oriente e l’occidente. Il percussionista Joss Turnbull è un esperto di differenti strumenti dei Paesi Arabi, Iran e Turchia quali darabouka, tonbak e riqq. Il risultato del concerto: jazz orientale con intonazioni tedesco-turchi.
I concerti più importanti hanno avuto luogo nella sede dei Berliner Festspiele.
Sabato 3 novembre si è esibito Archie Shepp Quartet, composto da Archie Shepp, Wayne Dockery, Steve McCraven e con la partecipazione di Amina Claudine Myers.
A livello personale, questo è stato il concerto che mi ha toccato di più emotivamente. Archie Shepp, tra l’altro, è considerato una leggenda vivente. È nato il 1937 a Fort Lauderdale in Florida ed è cresciuto a Filadelfia, dove ha studiato piano e sassofono. Agli inizi degli anni ’60 si è trasferito a New York con la speranza di imporsi come attore ed autore di teatro. Il suo cammino predestinato però era la musica. A lanciarlo è stato il gigante del jazz John Coltrane. Archie Shepp era tra i musicisti che hanno suonato per gli album (vere e proprie pietre miliari del jazz) A Love Supreme e Ascension di John Coltrane.
Il suo primo disco l’ha registrato nel 1962. Nel 1964 ha iniziato la sua collaborazione con l’etichetta musicale Impulse!, realizzando 17 album, molti dei quali sono considerati dei classici, ad esempio, Four For Trane.
In seguito la musica di Archie Shepp ha preso toni politici, influenzata dai tragici eventi quotidiani che toccavano la popolazione di colore. Shepp ha dichiarato: “Se tre bambini ed una chiesa vengono fatte saltare in area, rimane in te qualcosa dell’accaduto nella tua esperienza culturale”.
Il suo primo viaggio in Africa l’ha intrapreso nel 1969 in occasione del Festival Pan African. Le canzoni più conosciute e belle di Archie Sheep sono sicuramente Malcolm, Malcolm – Semper Malcolm e Mama Rose, con la quale rende omaggio a sua nonna, senza la quale, da bambino, non avrebbe mai potuto prendere lezioni di musica e che gli ha regalato il suo primo sassofono.
Stupenda è stata l’esibizione di Amina Claudine Myers, alla quale Archie Shepp si rivolge sempre chiamandola sister, sorella. Amina è cresciuta nel Texas, regione impregnata di Gospel e Rhythm ’n’ Blues. Dopo essersi trasferita a Chicago a metà degli anni ’60 per lavorare come maestra, ha registrato, nel 1969, il suo primo disco jazz in collaborazione con il sassofonista Kalaparusha Maurice McIntyre. Nel 1976 si è trasferita a New York. Agli inizi degli anni ’80 ha vissuto in Europa. Amina ha lavorato sporadicamente anche come attrice.
Tra i concerti più importanti è stata la prima di “Remembering Jutta Hipp” eseguita da musicisti di tutto rispetto, sui quali non si può fare a meno di scrivere una breve biografia:
Julia Hülsmann è una pianista ed una compositrice conosciuta a livello internazionale. Nata a Bonn si è formata musicalmente a Berlino, dove si è trasferita nel 1991 per studiare Piano Jazz alla HdK. Da ottobre 2008 è sotto contratto con la prestigiosa casa discografica ECM.
Rolf Kühn, nato nel 1929 a Colonia, prima di intraprendere la carriera musicale, si è guadagnato da vivere come acrobata. Dopo la seconda guerra mondiale, nel 1956 si è trasferito negli Stati Uniti con la fama di essere il miglior clarinettista europeo. Lì ha suonato con i giganti del jazz Chet Baker, John Coltrane, Billie Holiday ed è divenuto membro della band Benny Goldman. Ritornato in Europa ha lavorato presso numerosi teatri ed ha prodotto numerosi dischi tra cui anche con Chick Corea, uno dei pochissimi artisti che Giorgio Carioti non è riuscito a far esibire nel suo locale il Quasimodo.
Joe Lovano, nato nel 1952 a Cleveland in Ohio, ha iniziato a suonare il sassofono contralto da bambino. Anche lui è un gigante del jazz: ha ricevuto il prestigioso Grammy Award. Le sue maggiori produzioni musicali sono state pubblicate con la leggendaria casa musicale Blue Note Records a partire dal 1991.
Jutta Hipp si è guadagnata negli anni ’50 il titolo di “Germany’s First Lady of Jazz” (Prima donna tedesca del jazz), prima di finire nel dimenticatoio. Il concerto di JazzFest ha voluto rendere onore ad una grande artista che si è ritirata dalla scena musicale, perché non è riuscita a confrontarsi nella dura realtà di New York, dove si era trasferita con la speranza di diventare famosa oltre oceano, nella patria del jazz.
Jutta Hipp, nata nel 1925 a Leipzig, ha vissuto i terribili bombardamenti a cui erano sottoposte le città tedesche durante il periodo bellico. Invece di ripararsi nelle cantine come il resto della popolazione, ascoltava nei programmi di radio illegali, la così definita musica di “negri”, di una razza inferiore: il jazz.
Dopo la fine della guerra, il destino di Jutta è legato a quello degli americani, per le cui truppe si è esibita nell’Aprile 1945. Con l’arrivo dei sovietici a Lipsia è fuggita a Monaco, dove è iniziata la sua carriera professionale di pianista. È stato un soldato americano ritornato a New York a far ascoltare un disco di Jutta al rinomato critico Leonard Feather, il quale è riuscito a convincerla a trasferirsi nella Grande Mela.
Il repertorio di Hipp, che incantava di più gli spettatori, erano le ballate. Con appena 50 dollari è sbarcata nel nuovo mondo, dove è iniziata la sua lotta per inserirsi in un ambiente musicale così duro. Le difficoltà per lei erano addirittura doppie sia come donna sia come tedesca.
Nonostante un ottimo inizio, nel 1958 Jutta Hipp ha toccato il fondo: non riusciva più a pagare l’affitto ed era dipendente dall’alcol. Grazie all’aiuto di un avvocato è riuscita a disintossicarsi e a trovare un posto fisso in una fabbrica a Long Island. Fino al giorno della sua morte si è rifiutata di suonare in pubblico.
Rolf Kühn ha ricordato così Jutta Hipp:
Subito dopo la guerra Jutta Hipp era una hippy. Con i suoi lunghissimi capelli rossi, un cappello rosso ed un trucco appariscente, era una sensazione (…) Quella sera avevo anch’io suonato il clarinetto e mi ha chiesto se conoscessi Benny Goodman. Non lo conoscevo. Anche perché i suoi dischi non erano in vendita e durante il periodo nazista la sua musica era proibita. I nazisti avevano fatto un poster che raffiguravano delle mani, che mantenevano un clarinetto e sotto c’era scritto “mani di un criminale”. Erano le mani di Benny Goodman e rientravano negli stereotipi antisemiti.
Un altro dei concerti più importanti è stata la prima di “Songs for Kommeno” del batterista Günter Baby Sommer con la partecipazione di Savina Yannatou, Vocals.
Günter Baby Sommer è nato e cresciuto nella DDR, dove era considerato una delle maggiori personalità della scena jazz. È conosciuto per aver collaborato spesso artisticamente con scrittori, tra cui con il premio Nobel Günter Grass.
“Songs for Kommeno” nasce da una casualità. Günter Baby Sommer era stato invitato da Nikos Touliatos a recarsi a Kommeno per organizzare un festival musicale. Kommeno è un paesello greco, dove, però, è avvenuto uno dei più terribili massacri commessi dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. Quando Baby Sommer ha appreso la notizia dal suo amico, ha deciso di incontrare gli abitanti del luogo e di realizzare un pezzo musicale, con il quale esprimere il suo ribrezzo contro i crimini commessi dalla generazione di suo padre ed in onore, soprattutto, dei bambini e degli anziani uccisi.
Il momento centrale del concerto è stato quando Baby Sommer ha riprodotto dei suoni che ricordano il tocco della campane a lutto. Sullo schermo dietro al palco è stato proiettato l’obelisco sulla piazza del paesello, dove sono incisi i nomi delle vittime, tra cui bambini a partire dai 7 mesi fino ad anziani di 90 anni.
Mi ha toccato molto quando nell’intervista a Baby Sommer pubblicata nel libricino d’accompagnamento del CD Songs for Kommeno, ho letto questo passaggio:
Alexandros Mallios è l’unico superstite di una famiglia numerosa, perché all’alba era stato mandato dal padre a prendersi cura del bestiame (…) nella casa del massacro si percepisce ancora l’atmosfera del reato. Non è cambiato niente. Il tempo è rimasto congelato
Mary Lou Williams era un personaggio singolare, per il fatto che era sia mancina che destrimano.
La sua musica ha cambiato ed influenzato il jazz. Già tra gli anni 1947 e 1951, quando si cimentò con il Bop, era considerata una pianista moderna.
A ricordarla è stata, presso la Akademie der Künste, la formazione Geri Allen Trio, composta da Geri Allen, Reggie Workman e Andrew Cyrille, il quale molto emozionato ha dichiarato di fronte al pubblico:
Per me, Mary Lou era una persona molto creativa, sensibile e caritatevole. A volte l’ho aiutata alla Fondazione Bel Canto, a favore dei musicisti in bisogno d’aiuto, smistando e depositando abiti, etc. / To me, Mary Lou was a strong, very creative, sensitive and charitable person. Sometimes I would help her at Bel Canto Foundation for musicians in need, sorting and filing clothes, etc.
Mari Lou è stata la principale protagonista della florida e leggendaria scena swing a Kansas City nella metà degli anni ’30. Gery Allen ha interpretato il ruolo di Mari Lou nel film di Robert Altman: Kansas City.
Il concerto di chiusura è stato tenuto da Wayne Shorter Quartet con Danilo Perez al piano, John Patitucci al basso e Brian Blade alla batteria.
Prima del concerto c’è stato un piccolo intoppo: gli strumenti di Wayne Shorter sono andati persi durante il viaggio areo.
Wayne ha tenuto il concerto con strumenti appartenenti ai Berliner Festspiele. Gli spettatori hanno osservato le continue espressioni di contraddizione di Wayne: non è facile per nessun musicista suonare con strumenti presi a prestito.
John Patitucci di origine italiane, al contrario, era di ottimo umore. Era l’unico durante le prove a parlare ad alta voce, a gesticolare come gli italiani e a ridere a squarciagola.
Wayne Shorter è un vera leggenda vivente del jazz: è uno dei più prolifici musicisti attuali. Ha ricevuto sei Grammy Awards ed è stato nominato per altri 13. Nel 1997 è stato premiato con il Jazz Master Award, uno dei più importanti riconoscimenti. Nato nel 1933 ha iniziato da ragazzo ad imporsi come musicista. Wayne Shorter è stato il cofondatore del gruppo Weather Report.
La prossima edizione di JazzFest si terrà tra il 31 ottobre ed il 4 novembre 2013.
di Emilio Esbardo
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